venerdì 9 novembre 2012

State meglio oggi di quattro anni fa?

"Quando sarete nell'urna, chiedetevi se state meglio oggi di quattro anni fa". La frase che per mesi gli strateghi di Obama tentano di rigirare in un meno rischioso "chiedetevi chi ha un piano migliore per i prossimi quattro anni", però, non è farina del sacco di Romney o dei suoi spin doctor: a pronunciarla per la prima volta è stato Ronald Reagan.
Questa, come la maggior parte delle parole d'ordine della destra americana: deregulation, taglio delle tasse, aumento della spesa militare, riduzione del ruolo del governo federale a favore degli stati.
Dall'economia alla politica estera, dalla piega conservatrice in campo sociale fino a ruolo della religione in politica, il partito repubblicano come lo conosciamo da trent'anni in qua lo ha inventato Reagan negli anni Ottanta. Più precisamente, il 20 gennaio 1981, quando nel suo discorso inaugurale disse chiaramente: "in questa crisi il governo non è la soluzione: il governo è il problema".

Che durante la campagna elettorale del 1980 ci fosse una crisi in atto era difficile dimenticarselo. Invece del conto alla rovescia verso il fatidico martedì, gli americani contavano i giorni che 52 loro connazionali passavano da ostaggi nell'ambasciata di Teheran, occupata dagli studenti dopo la rivoluzione del 1979. Le campane suonavano a mezzogiorno in onore dei prigionieri, milioni di auto guidavano con le luci accese di giorno in segno di solidarietà, e ogni settimana migliaia di americani scrivevano alle Nazioni Unite e all'ambasciata iraniana.
Il presidente Jimmy Carter aveva accolto lo scià in esilio, e per l'Iran la foto della loro stretta di mano era una motivazione più che valida per sospendere tutte le esportazioni di petrolio. E poche cose possono nuocere a un presidente come le lunghe code davanti alle pompe di benzina.
Per il democratico Carter -cresciuto in una piantagione di noccioline nella Georgia ed eletto dopo lo scandalo Watergate proprio perché estraneo agli intrighi di Washington- però, le cose non andavano troppo bene nemmeno prima.
Era già entrato nei libri di storia grazie ad un'altra stretta di mano, quella fra Sadat e Begin sul prato della Casa Bianca, ma sul fronte interno Carter doveva vedersela con il peggiore scenario paventato dagli economisti: la stagflazione, cioè l'inflazione che aumenta mentre l'economia rallenta, i prezzi che salgono e i posti di lavoro che diminuiscono.
Alla crisi economica ed energetica si aggiunse l'incidente alla centrale nucleare di Three Mile Island, in Pennsylvania. Non ci furono vittime e la contaminazione fu limitata, ma i danni più grandi furono quelli all'autostima del paese: se il petrolio costa troppo e il nucleare è pericoloso, come dovremmo fare a tenere testa all'Unione Sovietica?
Carter prova a dare la sua risposta in un discorso alla nazione nel luglio del 1979. Il messaggio è semplice: spegnete la luce quando uscite dalla stanza, dobbiamo risparmiare energia e puntare sul fotovoltaico. Sul tetto della Casa Bianca compaiono i primi pannelli solari, ma il vero centro del discorso è un altro: "la più grande minaccia è la crisi di fiducia nello spirito nazionale, la perdita di uno scopo comune del nostro paese". 
Gli americani apprezzano l'onestà del presidente, e dopo quello che giornali e tv chiamano già "il discorso del malessere" Carter fa un lieve balzo nei sondaggi, ma dura poco: l'onestà non paga, l'America vuole un leader che li faccia sognare.
E Reagan è lì per questo: alla mancanza di fiducia contrappone un ostinato ottimismo nel futuro e nelle possibilità del paese. Tra le solite spillette distribuite dai volontari del partito ce ne sono due che semplificano il quadro: lo smile giallo con la scritta Reagan, la faccina triste con il nome di Carter. Il fascino e il sorriso da attore (è l'unico presidente ad avere anche una stella sul marciapiede di Hollywood Boulevard) conquistano gli americani. Davanti alle telecamere è a suo agio come pochi altri politici, e anziché fuggire dai giornalisti li corteggia con battute e storielle. "La recessione è quando il tuo vicino perde il lavoro, la depressione è quando lo perdi tu. La ripresa è quando lo perde Jimmy Carter" scherza.
Il suo piano è ridurre al minimo l'interferenza del governo e lasciare che il mercato si regolamenti da solo e tagliare la spesa pubblica, perché "il governo è come un neonato, un canale alimentare con un gran appetito da un lato e nessun senso di responsabilità dall'altro".
Gli americani gli credono. Reagan vince il voto popolare con uno scarto di dieci punti -51% a 41%- e stravince tra i grandi elettori: 489 a 49, 44 stati contro sei.
In uno degli oltre 11mila libri che sono stati scritti su di lui si racconta che nel giro di una notte in California comparirono degli enormi cartelloni che davano il "Benvenuto nella rivoluzione reaganiana".
La prima buona notizia arrivò il giorno stesso dell'insediamento: dopo 444 giorni gli ostaggi in Iran vengono liberati. L'amministrazione Carter non aveva mai smesso di negoziare, ma a Teheran nessuno voleva fare un favore all'amico dello scià.
Con Reagan non nasce soltanto la destra moderna, ma anche delle tendenze di voto tuttora valide: le donne votano in maggioranza per i democratici e gli uomini per i repubblicani. È anche la prima volta in cui i cristiani evangelici mostrano i muscoli come blocco compatto: da allora nessun repubblicano che punti in alto potrà fare a meno di tenere le loro priorità bene a mente.
La sua, di priorità, è ridurre l'intervento dello Stato, e non perde tempo: otto giorni dopo essersi insediato alla Casa Bianca, Reagan mette fine al monitoraggio dei prezzi del petrolio. Ci mette poco anche a far sparire i pannelli solari di Carter dal tetto di quella che adesso è casa sua. Taglia le tasse (soprattutto alle aliquote più alte), aumenta la spesa militare e sintetizza così la sua politica estera: "annientare l'impero del Male" (chi vi ricorda?). Per farlo, aiuta chiunque combatta contro i comunisti di qualunque foggia, in qualsiasi angolo del pianeta: finanziando la resistenza in Afghanistan e in Angola, e addestrando gli eserciti di El Salvador e Nicaragua.
Ma la vittima più illustre delle politiche di Reagan cade sul fronte interno. Quando nell'agosto del 1981 il sindacato dei controllori di volo dichiara un sciopero, il presidente mette da parte il proprio passato di sindacalista a Hollywood e, invocando il reato di interruzione di servizio pubblico, lancia un ultimatum: chi non si presenta al lavoro entro 48 ore verrà licenziato. Il 90% dei controllori si rifiutò e perse il lavoro, e il sindacato americano perse per sempre ogni potere contrattuale. il settore privato seguì l'esempio, imparando a licenziare senza tanti complimenti. Senza nessuno a mediare, gli stipendi di milioni di americani sono rimasti fermi al palo per decenni, rallentando l'ascesa della classe media.
È anche la prima volta in 25 anni che i repubblicani recuperano la maggioranza in Senato, il che dà ampio margine di manovra a Reagan. Molte iniziative di legge partiranno proprio dalla Casa Bianca. Del Congresso, del resto, non ha una grande considerazione: quando un contadino gli offre un mulo in regalo, Reagan gli risponde, "Temo di non farmene granché, di un mulo: ne ho alcune centinaia a Capitol Hill".
Muli o no, a livello nazionale la ricetta di Reagan portò i suoi risultati e dopo due anni l'economia era in ripresa e continuò a crescere per novantadue mesi, al termine dei quali c'erano diciannove milioni di nuovi posti di lavoro.
Forti di queste cifre, i repubblicani da allora hanno esacerbato e portato agli estremi la dottrina reaganiana, trasformando quella che era anche la casa di molti autentici liberali in un partito di destra spesso appiattito sull'ala più conservatrice.
Durante le primarie, per esempio, Reagan fu tra i primi a difendere i diritti dei gay e l'autonomia dell'individuo: "se la vita privata di una persona non interferisce con il suo lavoro, non deve avere alcun peso nelle assunzioni nel settore pubblico o privato". Provate a immaginare Bush o Romney che ripetono un concetto del genere.
Per il suo partito, Reagan rimane un modello indiscusso, ma anche a sinistra è un termine di paragone di quanto un presidente possa cambiare il corso del paese. Prima del dibattito di Denver, quando i sondaggi lo davano in vantaggio in tutti gli stati chiave, il settimanale Newsweek ha messo Barack Obama in copertina con il titolo "il Reagan democratico?". Se vincesse un secondo mandato potrebbe portare a conclusione delle riforme ambiziose e ridefinire gli obiettivi del partito, diventando il punto di riferimento delle prossime generazioni. Troppa ambizione? Il futuro, diceva Reagan, non appartiene ai deboli di cuore, ma ai coraggiosi.

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