mercoledì 23 gennaio 2013

Elezioni: tutti a lezione da Obama

Se Mario Monti è sceso dalla cattedra, imparando ad attaccare in maniera diretta i suoi avversari, il merito potrebbe essere di David Axelrod, il consigliere più fidato di Barack Obama e artefice della sua rielezione.
La Stampa di oggi riporta la notizia di un incontro tra lo staff di palazzo Chigi e il guru della comunicazione del presidente americano.
A missione compiuta, la società di consulenza fondata da Axelrod si ritrova infatti senza il suo più importante committente, e, scrive Molinari, il criterio di scelta degli altri clienti potrebbe essere proprio il cambiamento che un candidato è in grado di esprimere. Non a caso, sul sito della Akpd campeggia la frase: "il cambiamento è qualcosa per cui bisogna battersi. Non arriva mai facilmente".
Ma dalla campagna elettorale americana stiamo prendendo in prestito più di qualche consulente.

Se il confronto a tre tra Monti Bersani e Berlusconi sembra oggi improbabile, ci sono molti altri dettagli che stanno cambiando il volto ai nostri palinsesti.
Primo, il fact checking, cioè la verifica dei fatti. Negli Stati Uniti è prassi in ogni quotidiano che si rispetti (un redattore richiama ogni intervistato per assicurarsi che il giornalista non abbia inventato nulla) eppure da noi, dopo diciannove anni di "non ho mai detto" passa per una rivoluzione.
Minoli a dicembre ci aveva scritto su un intero format ("Il candidato", per il momento non pervenuto), e SkyTg24 ne ha fatto uno dei pilastri della trasmissione "Lo Spoglio" condotta da Ilaria D'Amico.

Dalla scenografia al consistente intervento del pubblico invece, "Leader", il programma condotto da Lucia Annunziata riprende una delle formule tradizionali dei dibattiti presidenziali, "il town hall meeting", dove a far le domande ai candidati sono i cittadini. E come sicuramente ricorderà Obama, rispondere a un elettore deluso richiede più concretezza di quanto non facciano gli anchorman.

Ma Monti e la tv non sono gli unici ad aver preso appunti durante le elezioni americane.
Anche Beppe Grillo chiese consigli allo staff di Obama su come gestire una campagna sul web, e  Matteo Renzi -uno dei politici italiani più attivi su Twitter - ha incontrato Jim Messina, il quarantenne a capo della gigantesca macchina da guerra che ha lavorato alla rielezione di Obama.
 Tutta quest'attenzione al web, però potrebbe bastare.
Come lo stesso Messina ha spiegato a TIME all'indomani della vittoria, per portare gli indecisi alle urne è stato fondamentale il porta a porta dei militanti: gli accuratissimi database e i milioni di email firmati Barack, Michelle, Axelrod o Jim servono a un'altra cosa: far aprire i portafogli i raccogliere fondi. Che in Italia è vietato.


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