domenica 24 febbraio 2013

San Giovanni, San Pietro e un endorsement



Sarà la suggestione di una Roma senza papa, senza governo e presto senza presidente. Sarà che Pd e Pdl non hanno nemmeno provato a riempire una piazza. Ma mentre percorro via della Conciliazione insieme a suore maltesi, coppie con passeggini e turisti che scelgono cartoline di papa Ratzinger, mi chiedo se stamattina a piazza San Pietro ci sia più gente che in piazza San Giovanni venerdì. Sarà un confronto blasfemo ma è istintivo: il funerale della seconda repubblica e la fine di un papato.

Mi faccio strada tra famiglie in biciletta, boyscout, preti africani e anziani con l'ipad puntato verso l'alto, raggiungendo appena in tempo un angolo di via della Conciliazione con una discreta visuale sul palazzo apostolico. Appena sotto, sui teloni che nascondono le impalcature per il restauro del colonnato del Bernini, c'è un'effigie mariana con il motto apostolico di Wojtyla, Totus tuus, e la scritta Italiana Costruzioni, due dettagli che oggi sembrano ammettere i limiti di questo papato. Appena otto anni contro l'eternità (si fa per dire) di Giovanni Paolo II, e soprattutto la bandiera bianca issata davanti alle guerre interne della curia: gli appalti li vincono le stesse ditte di sempre, e Carlo Maria Viganò, l'arcivescovo che aveva denunciato la corruzione nei sacri palazzi, è stato "promosso" e spedito oltreoceano.
Fuori dall'abbraccio del colonnato fa molto freddo, un vento gelido scuote il drappo rosso della finestra di Benedetto XVI e disperde in fretta i coriandoli argentati lanciati da chissà dove durante il suo messaggio, e chissà se a qualche prelato ricorda le folate che sfogliavano il vangelo sopra la bara di Wojtyla.
A conti fatti, a Beppe Grillo è andata bene l'altra sera, non ha piovuto e la temperatura era mite.
San Giovanni e San Pietro: due piazze stracolme a pochi giorni e pochi chilometri l'una dall'altra. In mezzo, ovviamente, c'è un'infinità di differenze.
L'età media, la commozione e l'incertezza al posto della rabbia e dell'esaltazione di alcuni, gli ambulanti che invece della birra vendono bandierine del Vaticano o copie di Avvenire.
Ed è sulla prima pagina del giornale della CEI che intravedo un parallelo tra le due piazze: anche alla Segreteria di Stato Vaticana i giornalisti stanno poco simpatici, di questi tempi, perché starebbero tentando di "condizionare i cardinali del Conclave" pubblicando "notizie non verificate, non verificabili o false".
Pur facendo il necessario sforzo di fantasia per figurarsi un cardinale sudamericano o filippino intento a leggere Repubblica, Panorama o il Fatto Quotidiano mentre è in volo verso Roma, l'attacco di Bertone fa meno paura del continuo martellare dei grillini contro i giornali e le tv italiane. Se non altro, perché dal Vaticano nessuno può pretendere democrazia con la stessa fermezza con cui te l'aspetti da chi si candida a governare l'Italia.
Più inaspettato, invece, è leggere sull'Osservatore Romano una difesa dell'elettorato grillino che rasenta l'endorsement: "un fenomeno trasversale che con ancora troppa superficialità viene liquidato come espressione di antipolitica, di populismo o di demagogia," anche se l'elettorato "persegue innanzitutto un rapporto diretto con i suoi rappresentanti in un momento in cui la politica tradizionale è avvertita, spesso non a torto, desolatamente autoreferenziale".
E' solo la suggestione di una Roma senza papa e senza governo, o vuoi vedere che tutti questi boy scout voteranno Cinque Stelle?

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